Quel dolore…

E non capite sempre male! Ok, ho un’anima abbastanza triste, mi deprimo facilmente e spesso vengo a piangermi addosso su queste pagine. Ma stavolta è un dolore dolce, amico, mio alleato. È un dolore che mi ricorda che ieri ho fatto una partita a calcetto. Una partita che per tante persone è solo un’ora di svago. Ma per me è stato un avvenimento. Una partita pressoché perfetta, dove ho tirato fuori numeri che ogni tanto dimentico di avere. Una partita giocata nel ruolo più bistrattato, forse, ma che mi ha dato grandi soddisfazioni ieri. Segnare da centrocampo e sentirmi dire da un compagno “E questo da dove l’hai tirato fuori?!?”, raccogliere i complimenti a fine partita per una vittoria schiacciante… Tutto questo, dopo quei maledetti 19 mesi dopo l’operazione, mi riempie di immensa gioia. Per questo io, quel dolore, lo benedico!

Il sogno di una vita

Non so se mi sono mai sentito così. Di sicuro, però, è la prima volta che i miei sogni prendono una forma così tangibile. E non mi sembra neanche vero: è bastato così poco… una chiacchiera, una mezza idea… credevo di aver detto chissà quale cretinata. E invece, per lo meno, è stata una buona idea… se poi si realizzerà o meno saranno il tempo e le circostanze a deciderlo. Ma intanto mi rimane il patrocinio di un’ottima idea, folle al punto giusto ma corroborata da basi per lo meno veritiere (cosa che, per un uomo che crede di non avere fantasia e di non saper sognare, è già un bel passo avanti). Avevo bisogno di un sogno da perseguire, mi diceva pochi giorni fa un carissimo amico (che intanto devo già ringraziare infinitamente per come mi ha dato la “scossa“ giusta) ed il sogno è arrivato.Sarà una strada lunghissima e tortuosa, magari anche irrealizzabile. Ma intanto me la fate percorrere, per piacere?

Potere di una canzone

Una giornata può nascere storta per un milione di motivi. Ti alzi svegliato dal rumore della famiglia che, d’altro canto, è normale che parli alle 11 di mattina… Devi fare tante cose, e come al solito finisci per non farne nessuna: per fortuna un inaspettato slancio di “voglia di fare” ti aiuta a combinare qualcosa. Vai ad allenamento, sapendo di dover dare il 110% per far vedere che dopotutto “ci sei anche tu”, e non azzecchi un tiro in porta. Torni, stanco, non riesci a fare quello che devi fare dalla mattina e neanche a continuare quel poco che avevi già fatto. In più ci si mette la banca, che per colpa di un’impiegata svogliata e menefreghista ti blocca una pratica. Vai a cena, ti criticano perché ti alzi e te ne vai a pasto concluso, salvo poi farti rimanere e parlare di discorsi in cui non puoi intervenire, un po’ per svogliatezza un po’ per oggettiva incompetenza. La giornata scivola via, inconcludente come non mai. Ti metti a letto, e a quel punto la svolta. Hai sentito quel motivetto, stupendo, durante una pubblicità televisiva. Un sito che riconosce le canzoni e te le ripropone? Ma figurati se funziona… Provi una volta, niente. Mah, riproviamo, provo a farla meglio… incredibile: ce la fa! È proprio lei! Per quanto piccola, insignificante… eccola la svolta! Tutto svanisce, mentre quella melodia inizia a cullarti dolcemente. Non avrò fatto niente oggi, ma almeno l’ho trovata quella canzone…

Cara luna ti scrivo

Ma non per distrarmi un po’. Ti scrivo perché oggi, nel tuo piccolo, sei la protagonista. Non capita spesso di celebrare la tua bellezza, candida e agghiacciante. Sei un po’ come le cose importanti: ci accorgiamo di te solo quando scompari. Forse lo fai anche apposta: e ne hai tutte le ragioni dopotutto. Anche tu, soprattutto tu hai diritto di essere celebrata. E allora oggi torno a scrivere di me sotto la tua luce, sul balcone, con poetiche melodie che risuonano nella mia testa. Effettivamente di me non ho molto da dire: sai, la mia vita dopotutto è sempre quella. Sassolini, rocce, scogli… imprevisti di vario genere si pongono sul mio cammino nel tentativo di ostacolarmi. Che poi questo tentativo sia riuscito o meno, non so dirlo: solo il tempo sarà giudice, giuria e boia del mio successo. Fatto sta che per ora, luna cara, posso e devo solamente prendere esempio da te, che imperterrita giorno dopo giorno ti alzi silenziosa, e accompagni nelle ore più buie coloro che non dormono, per vocazione o per dovere. Compagna silenziosa, fedele custode dei segreti che a te vengono confidati. Ecco che inizi ora ciò che dicevo: stai per prenderti quella piccola rivincita di solitudine, il tuo chiarore inizia a scemare quasi per ricordarci come sarebbe vuoto il mondo senza di te, come sarebbe buia la notte senza la tua guida. Tranquilla, brillante signora dei segreti: non possiamo dimenticarti. Non possiamo arrogarci il diritto di fare a meno della tua gelida magnificenza.

Carne o pesce?

Bello sto titolo, e dire che m’è venuto così, senza neanche pensarci. È passato davanti ai miei occhi come un lampo, eppure sono riuscito a coglierlo… l’inno al “carpe diem”, quelle due paroline che tanto spesso vengono carpite da sedicenti saggi per sciorinare teorie di vita più o meno (più più che meno) sbagliate. Ad ogni modo, non è un richiamo ad una delle tradizioni (se così si può chiamare) della dottrina cattolica, ossia la quaresima che in questi giorni i fedeli stanno vivendo. No, è un riferimento al più popolare, ma anche più concreto, essere “né carne né pesce”. Stavo leggendo, or ora, un sito che parla di PHP (per i neofiti, un linguaggio di programmazione per il web) e mi imbatto nella pubblicità di un evento mondiale che si terrà a Chicago, IL nei prossimi mesi. Solita illustrazioncina invitante, della serie “non puoi mancare!”, così convincente che davvero penso di non poter mancare all’evento. Purtroppo la razionalità non ha trovato resistenza nel farsi strada tra i meandri della mia mente, riportandomi subito sulla terra. Ma soprattutto lasciandomi in eredità un quesito che tante, troppe volte mi pongo: cosa sono? Carne o pesce? Uno che sta davanti ad un computer, pronto a eseguire comandi che gli vengono imposti, o uno che ci sta dietro, e il cui lavoro serve a far eseguire quei comandi? Finirò anch’io a fare il segretario di un ufficio che niente ha a che fare con le mie attitudini, oppure troverò un posto che piace a me, che mi realizzi e mi soddisfi? Mah, che domanda stupida poi. A me neanche piace il pesce.

…Avevo ragione!

Eh si. Lo dicevo, due mesi fa: testa bassa e lavorare, i risultati arriveranno. E infatti… dopo tanto sudore, smentite, dimenticanze… eccolo il tesseramento tanto agognato. Sentirsi a tutti gli effetti parte della squadra dove giocano tutti i tuoi amici. Questo, signori miei, è calcio. Viverlo come un’avventura da intraprendere insieme con la gente che conosci da anni, con cui magari hai avuto (e hai ancora) rapporti più o meno felici; ma alla fine sei lì, domenica dopo domenica, allenamento dopo allenamento, a consigliare farti consigliare, a sostenere e farti sostenere. Oltre a questo, c’è un po’ tutto il discorso generale della vita da guardare sotto l’ottica di cui al titolo. Già, testa bassa e lavorare, i risultati arriveranno… oddio, effettivamente non è che ci sia granché di nuovo sotto quell’aspetto. Si, qualche novità… ma niente di definitivo, niente di sicuro, niente di clamoroso. Aspettiamo e vediamo, le situazioni si evolveranno, spero. Ecco perché devo continuare a dire… testa bassa e lavorare, i risultati arriveranno!

Tornando in pista

Ora basta divagazioni. L’eccezione l’ho voluta fare, era dovuta per mettere in chiaro alcune cose (anche se sono sicuro che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire), ma ora i riflettori tornano puntati su di me. Giornata strana, oggi: iniziata dal ricordo di una persona che non c’è più, che era vicina ad un caro, carissimo amico (che ogni tanto però se ne parte un po’ per la tangente, eh Zicon? :)) e che mi ha ricondotto, dopo anni, da mia madre. Si, erano almeno un paio d’anni che non andavo a trovarla, se non vado errato da ottobre 2004. Non perché non le sia vicino, solo io e lei sappiamo quanto le chiedo aiuto per tutti i problemi che ho e che mi faccio durante la giornata. Solo che vederla lì, separati da un freddo muro di marmo… È come se non fosse lì realmente. Ma oggi non potevo non farlo, per un momento ho pensato di andarmene ma poi son tornato in me stesso, non potevo andarmene senza un saluto. Mi sono vergognato di me stesso, quando non riuscivo a trovarla; per fortuna poi sono riuscito a ricordare quella scena di qualche anno fa, a focalizzarla, e a ritrovare il punto esatto. Una volta lì… che dirle? Non è come una persona che non vedi da mesi, che appena guardi negli occhi pensi “Quante cose ho da raccontarle!!”; no, io con mamma ci parlo sempre, sa tutto di me, sa cosa mi turba e cosa mi da gioia. Mi sentivo quasi di troppo, visto che non ci tornavo da tanto tempo, come se avessi perso il diritto di fermarmi là davanti. Ma mi sono fatto forza, e ci sono stato. La mia mente non è stata capace di partorire più di un saluto, un sorriso, un “Eccola mamma!”, ma ve l’ho detto: io con mamma ci parlo sempre. Torno a casa, mi preparo per l’allenamento… che salta, causa campo impraticabile e assenze numerose. E ora che faccio? I miei martedì e giovedì pomeriggio ruotano intorno a questo, è la cosa che mi da vita, che mi fa respirare, che mi fa sentire vivo. Tornando mestamente a casa… che faccio? Le provo tutte: non ho niente da studiare, non ho voglia di fare niente… beh, esco. Mi vado a fare un bel giretto da solo, anche se fuori il vento taglia la faccia in due come lame appena arrotate. E dove vado? Innanzitutto al mio belvedere preferito, che non svelerò per poter mantenere un piccolo segreto di me stesso. E da lì? Ma si… facciamo ‘sta pazzia, andiamo alla sede della Croce Rossa… magari la incontro, visto che non riesco a vederla da una settimana. Ovviamente anche stavolta la fortuna mi gira le spalle, ma dopotutto, stupido io che credevo di incontrarla davvero. Si torna a casa… piano piano, con la musica ad accompagnarmi passo dopo passo. Un paio di telefilm, due chiacchiere con gli amici… e dentro al letto. Che domani si torna in pista…

Ma parliamo la stessa lingua?

Questo blog, da quando è nato, parla di me. Delle mie storie, dei miei problemi, dei miei pensieri. Intendiamoci, non che abbia solo quelli, a volte mi capita di essere felice. Ma sai com’è, quando sei felice pensi a vivere il momento, non ti fai paranoie di vario genere (non normalmente, almeno). Stavolta voglio fare uno strappo: parlo di un’altra persona. Non so se mi leggerà, spero di si. Il fatto è che mi sembra talmente strano di dover spiegare una cosa già spiegata chiaramente tempo fa, che effettivamente non so neanche cosa dire. Mi si è detto di pensare ancora a una persona che è stata nella mia vita per tre anni, dieci mesi e un numero indefinito di giorni. Pensare a lei? Ma stiamo scherzando? Penso solo a quanto ho sofferto per lei, a quanto sono cresciuto quando l’ho persa. Penso agli amici che mi sono stati vicini, che mi hanno aiutato a rialzarmi, e a quanto ho fatto io per tornare orgoglioso a petto in fuori a sfidare il mondo. Questo significa pensare di lei, volerla farla tornare nella mia vita? Ma parliamo la stessa lingua? Mah. Buona fortuna, comunque.

Come un’amica

Già, come una cara amica di vecchia data. Sempre qui a darmi il suo conforto, oppure a strapparmi ai miei sogni col suo freddo realismo. A volte se ne va, anche per lungo tempo; ora è tornata, e io sono pronto ad accoglierla di nuovo. Fa parte di me dopotutto, della mia anima, della mia essenza. Ecco, già vi sento in tanti… “Ecco, ci risiamo!” “Ora ricominci, ma devi lasciartela alle spalle!” “Ma perché?? Stai tanto bene senza!”. Ma no, lei fa parte di me, sempre, in ogni momento. Solo che a volte si vede, altre no. Quando va tutto bene me la lascio alle spalle, quando le cose vanno un pochino storte come ora affiora, gentilmente e senza gelosie, senza ripicche per farmi pagare tutto il tempo in cui l’ho ignorata. Ecco perché tengo tanto a lei: è un’amica fidata, non mi lascia mai, se ne sta in disparte quando non ho bisogno di lei ma è sempre pronta per aiutarmi. Come ora. Bentornata, amica Tristezza.

Indietro

Tutti pensano ad andare avanti. Si fa sempre tutto per andare avanti: lo fanno le grandi nazioni, inseguendo il progresso che porterà benefici ai loro popoli; lo fanno un po’ tutti i lavoratori, cercando di superarsi l’un l’altro per realizzazione personale o per qualche spicciolo in più. Io invece, oggi, scelgo di guardare indietro. Anche stasera il tempo scorre tra le mie dita come la sabbia fina del Mar dei Caraibi, ma sono questi i momenti che mi piace vivere, i momenti a cui penso quando dico a me stesso o agli altri “stasera rimango a casa”. I momenti in cui chiudo la porta che separa la mia stanza dal resto del mondo, giro a due mandate la chiave e mi fermo. A pensare a ciò che ero, a ciò che sono, a ciò che potrò e che non potrò essere. E stasera tocca, guarda un po’, al ciò che ero. In particolare ho trovato (perché l’ho cercato, non perché mi sia caduto dal cielo, non ho nessun problema ad ammetterlo…) il blog di una persona che mi è stata molto cara, una persona per cui avrei fatto davvero di tutto… se solo avessi scoperto di volerlo davvero. Ad ogni modo questo non vuole assolutamente essere un pretesto per piangere lacrime sul latte versato (anche perché non ci sono ne le prime ne il secondo), bensì un momento per riflettere su come ero, su come eravamo. O forse prima di riflettere su tutto questo dovrei prima ricordarmelo, visto che di quel periodo ricordo solo la fine. Già, com’ero allora? Com’ero due anni fa? Non ricordo neanche questo, e la cosa onestamente non mi fa’ piacere, visto che comunque si tratta di me, della mia vita. Alcuni mi dissero, appena passato quel periodo, che ero cambiato “da così a così” (in meglio, per fugare ogni eventuale dubbio dei lettori). Altri mi dicono che oggi sono un bravissimo ragazzo, malgrado io mi ostini a sostenere che in me c’è più di qualcosa che non va. Quel che è sicuro è che quel periodo mi è servito tantissimo per capire cosa stavo sbagliando, e per non ripeterlo. Se ora sono quello che sono (ma cosa sono ora, dopotutto?) lo devo, probabilmente, in gran parte a quella sofferenza. Visto che mi è servito per crescere, dovrei essere contento di aver sofferto così tanto. Dovrei essere soddisfatto di essermi leccato le ferite, di aver barcollato, di aver quasi perso il controllo per poi rimettermi prima in ginocchio, aggrapparmi a chi avevo vicino e con il loro aiuto rialzarmi. Sapete qual’è la cosa assurda? Lo sono davvero…

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