Già, senza titolo perché se devi stare a pensare per più di due minuti a due o tre parole che descrivano sinteticamente uno stato d’animo senza trovarle vuol dire che quelle parole, sinceramente, non esistono. Nel mio caso non esistono perché quello che ho dentro è talmente sfaccettato, talmente multiplo, talmente diverso e allo stesso tempo uguale che probabilmente non ne basterebbero neanche mille. Ma non sono soltanto le parole che mancano: sono anche le idee, le speranze, la volontà. La volontà di muovermi, ad esempio: sono stato così tanto tempo, sino ad ora, fermo nella mia vita e nelle mie routinarie sicurezze che ho dimenticato come ci si muove, ammessi che l’abbia mai saputo. E il bello è che quando una di quelle persone più uniche che rare che ancora ha la santa pazienza di perdere tempo dietro ai miei deliri me lo fa notare mi permetto anche il lusso di negarlo. Non che non lo abbia, il piano, e sarebbe anche relativamente semplice; in una parola diciamo semplicemente “attuabile”. Eppure, è lì, ma non mi muovo. Perché? Perché la speranza mi abbandona. Si, ok, metto il piano in atto. Ma se non va? Diciamocelo: non può andare, ora come ora. Fino a poco tempo fa, neanche due settimane magari, era lì a portata di mano. E che faccio? Lo mando via. Lo spingo lontano da me, come se non mi importasse, salvo poi accorgermi che era proprio quello che avevo sempre voluto, che mi avrebbe forse reso finalmente libero da ciò che non voglio più essere. E ora sono senza idee per il futuro, ma non solo. Senza forze per crearmele, quelle idee.
Dopotutto, forse è meglio non aver trovato il titolo. Non sarebbero state belle, quelle due o tre parole.